Quando avevo cinque anni, mia madre mi ripeteva sempre che la felicità è la chiave della vita. Quando andai a scuola mi domandarono come volessi essere da grande. Io scrissi: felice.
Mi dissero che non avevo capito il compito, e io dissi loro che non avevano capito la vita.
(John Lennon)
La classe III T è una classe di studenti originali e variopinti che hanno imparato in questi tre anni a convivere e a volersi bene. Hanno deciso di intraprendere questa avventura e scrivere questo libricino, nato da un percorso sul genere surreale, perché sono simpatici e coraggiosi…
Ci vuole del coraggio per mostrare i propri scritti e le proprie difficoltà e sottoporle al giudizio degli altri, ma è un modo divertente per fare di un compito un progetto e mettere a frutto le fatiche scolastiche.
Il titolo PERDITEMPO ha un profondo significato:
Chi sono i Perditempo? Sono proprio loro, bravi a far passare le giornate scolastiche con una leggerezza contagiosa. E il tempo?
Il tempo è fatto per essere perso: meglio se insieme, meglio se imparando insieme qualcosa, meglio se imparando insieme qualcosa divertendosi, meglio se imparando qualcosa divertendosi e sognando insieme.
Il nero cane di Vergato
Gilda era un’anziana donna che come tutte le anziane italiane si sentiva sola. Così la donna comprò un cane: era un cane molto grande peloso e con un’aria buffa forse per via delle rughe che aveva in faccia.
Tra i due si instaurò subito un fortissimo legame affettivo, fatto di amore e solitudine. Ma si sa che la vecchiaia colpisce tutti e tutte, così la vecchia stanca per i continui bisogni del cane iniziò a maltrattarlo:
non gli dava da mangiare, lo chiudeva fuori di casa per giorni e lo picchiava.
Un giorno Gilda prese una decisione terribile...caricò il cane in macchina lo portò in una buia e fitta radura e lo abbandonò.
Mentre la malvagia vecchia si stava per allontanare sentì il pianto del cane spaventato, così Gilda esclamò: “Zitta bestia! Vai all’inferno!”
Dopo circa due settimane dall’accaduto la donna si trasferì a Vergato, un paese nell’Appennino tosco emiliano. Forse lo fece per il rimorso di quell’atto, voleva rimuovere dalla testa l’immagine dei tristi occhi del cane piangente.
Una volta arrivata, Gilda trovò la città vuota e allora la vecchia, spaventata, corse verso il suo nuovo appartamento quando WAAM! Davanti a lei, uscito da una fiamma, si materializza un cane nero, nero come la pelle bruciata, occhi rossi come la lava di un tremendo vulcano.
Il sorriso dell’animale era contornato di gialli denti umani! La donna non riuscì ad aprire bocca, che il cane iniziò a parlare e a dire: “Ciao cara, tutti ti conoscevano come la dolce nonnina solitaria ma io sono l’unico che ti conosce come una spietata assassina! Quel giorno mi sentivo piccolo in quel buio bosco, e come bene immaginavi, sono morto di fame. Dopo due giorni dall’abbandono non riuscivo neanche a stare in piedi.
Ah non sono qui per farmi maltrattare ancora ma sono venuto per portarti con me all’inferno!”.
Il cane saltò sulla povera donna e la mangiò viva.
Il 5 ottobre 2005 la signora Gilda Ferrini morì per infarto in piazza in mezzo a migliaia di persone esclamando:
“Il cane! Ho visto il cane! Ho visto il cane!”
Francesco
I gatti scomparsi
Un giorno stavo andando a casa di un mio amico.
Mentre camminavo vidi un gatto tutto nero, con occhi verdi sfavillanti miagolare e decisi che era troppo carino per lasciarlo lì per strada, così me lo portai a casa.
Il giorno seguente, stavo cercando il micio per dargli da mangiare, ma quando aprii la porta del soggiorno, dietro di essa ne trovai cinque. Ero un po’ perplesso, ma non ci feci caso: magari aveva chiamato i suoi amici, alla fine dovevo aspettarmelo. Sono gatti, è normale, mi dissi.
Nei giorni successivi, i gatti continuarono ad aumentare, fin quando non arrivarono a essere 100; quel giorno, venne buio stranamente presto, una navicella spaziale si appostò sopra casa mia, per poi con la sua luce farli sparire tutti.
Non vidi mai più quei gatti.
Mehedi
L’oro: una felicità relativa
Josh era un ragazzo povero, viveva in una piccola città e aveva una grande famiglia: 4 sorelle e 2 fratelli; suo padre lavorava tutto il giorno e sua madre doveva accudire i suoi fratelli. Josh, da figlio più grande voleva aiutare i suoi genitori, ma non poteva perché aveva solo 15 anni, quindi molte volte lavorava in nero e vendeva sigarette.
Scusatemi, ancora non mi sono presentato:
“Ciao io sono il migliore amico di Josh, da questi eventi, sono passati molti anni e io oggi sono qui per raccontarveli.”
Un giorno, stavamo parlando tranquillamente e lui disse questa frase
“Vorrei avere tutti i soldi del mondo, così sarebbe tutto più facile” e io gli dissi: “Si, ma ricorda che molte volte i soldi portano anche avidità”.
Lui indispettito se ne andò; e continuò a ripetere quella frase per anni e anni, probabilmente non aveva neanche riflettuto a fondo sulle mie parole.
Dopo qualche anno che non ci vedevamo, sentii una notizia alla radio, qualcuno della nostra cittadina era diventato ultra miliardario ed era stato ricoperto dai soldi...in senso letterale, tanto che dovettero chiamare i soccorsi per la montagna di soldi che avevano sommerso.
Poco dopo scoprii che era proprio lui, Josh.
Però tutti questi soldi lo fecero diventare freddo e avido: non parlava più con nessuno; pensava che tutti quelli che gli stavano vicino lo facessero solo per i soldi. Non era più lui e dubitavo che sarebbe tornato il Josh che conoscevo io, il mio migliore amico.
Per qualche mese fu così, sperperava tutti i suoi soldi, mentre la sua famiglia non aveva i soldi per mangiare.
Poi però incontrò una ragazza per strada, e capì, che era la ragazza per cui aveva avuto la sua prima cotta, si conoscevano bene ma avevano perso i rapporti; lei stava andando in panetteria mentre lui ne era appena uscito, si lanciarono uno sguardo e in quel momento furono trafitti entrambi dal cosiddetto colpo di fulmine.
La fermò e le chiese se potevano parlare, lei accettò e capì che c’era ancora l’aspetto dolce e simpatico di Josh ed erano sotto casa di Diana, quando lei disse la frase fatidica: “Non sei come dicono gli altri”.
Lui inizialmente rimase un po’ stranito, ma poi la ringraziò e la salutò.
Pensò tutta la notte a quella frase e il giorno dopo rinsavì: capì quanto era stato egoista negli ultimi mesi, così decise di donare gran parte del suo patrimonio alla Caritas e l’altra parte la usò per la sua e per le altre famiglie in difficoltà della sua cittadina.
Dopo 3 anni dall’accaduto
Oggi si stanno sposando, sì proprio loro: Josh e Diana, lo sapevano tutti che erano fatti l’uno per l’altra.
La chiesa era completamente ricoperta di fiori rosa e bianchi, sull’altare, nelle panche e sulle sedie, Diana era splendida, indossava un vestito in merletto bianco e Josh invece indossava lo smoking. Questa volta non ha badato a spese!
Emma
Un viaggio nell’Ade
Quella mattina mi svegliai con una strana sensazione: un brutto presentimento, ma non ci feci caso.
Andai in bagno e mi lavai la faccia, poi scesi di sotto e feci colazione, visto che a tavola vidi che mancava mia sorella, ruppi la mia regola di non parlare fino all’inizio della scuola: “Dov’è la Dada? Sta male?”
“Viola ti senti bene?” Mi chiese mia mamma. “Tua sorella è stata trovata morta al fiume 2 giorni fa!”
“Cosa!?” Risposi con un tono stridulo e fastidioso.
“Viola? Tutto ok?”
“I-i-io devo andare” balbettai.
Andai su in camera e accesi una candela profumata: di solito mi rilassavano;
non appena prese fuoco lo stoppino, un’enorme fiamma occupò la mia stanza. La fiamma, prese poi la forma di uno strano essere umano con ali e corna; “Vieni con me!”.
Non appena potei realizzare che un demone era entrato in camera mia tramite una candela, mi ritrovai dondolante su una barca sospesa nel vuoto e ad un centinaio di metri sotto di me fiamme e urla umane.
A quel punto realizzai di essere nell’Ade, e che la sera prima avevo inveito contro mia sorella, mandandola all’Inferno.
Di fianco a me notai una scia di oggetti per la maggior parte rotti e vecchi.
“Sogni infranti” sentii dire da una voce vicina a me, mi girai di scatto, un uomo, magro non tanto alto con una folta barba bianca e vestito di nero. Innervosito, direi, dalla mia presenza.
Rimasi a guardarlo per qualche secondo cercando di associarlo a qualche figura mitologica.
“Caronte, il traghettatore delle anime” urlai.
Infastidito si girò, fermò la barca e disse: “Siamo arrivati.”
Così scesi e mi ritrovai davanti un’imponente costruzione, aprii l’enorme portone, e mi ritrovai davanti un’ampia sala, con al centro una gabbia e con dentro, intrappolata per sempre, mia sorella.
Viola
Meglio un cane!
Un giorno, ero in vena di fare una buona azione, non sapevo neanche io precisamente perché, sapevo solo che volevo fare qualcosa di utile per qualcun altro, così mi vestii e decisi di andare al gattile: io amavo i gatti, e adottarne due o tre mi sembrava una buona idea.
Arrivai al gattile e dopo aver fatto le coccole a ogni gatto presente, mi innamorai di tre gatti: una femmina tutta nera di nome Luna, un maschietto tigrato di nome Tigro e un'altra femmina bianca e grigia a cui non avevano ancora dato un nome.
Stavo pensando al possibile nome da darle, quando mi passò di fianco una volontaria che lavorava lì, io presa dall'emozione, dissi, così a sentimento, senza pensarci: “Vorrei cento gatti.’’
La signora mi disse che lei a casa ne aveva dieci, ma che se avesse potuto anche lei ne avrebbe presi cento, così mi resi conto di non essere l’unica gattara matta.
Alla fine, compilati i moduli per l'adozione me ne tornai a casa con Luna, Tigro e la gattina senza nome che nel frattempo pensai di chiamare Lexa, ma non era ancora niente di definitivo.
Quando aprii la porta di casa, venni assalita da un'orda di gatti, riuscii solo a capire, neanche subito, che mi stavano mangiando viva.
Nella prossima vita penso che preferirò i cani!
Matilde
I Gatti
Il mio sogno fin da piccolo era di avere tanti gatti che mi volessero bene.
Dopo una ventina d’anni
Ho iniziato da un paio di giorni la mia ricerca per racimolare almeno una quindicina di gatti. Sono riuscito a trovarne diciassette, sono molto piccoli e carini.
Dopo otto mesi…
Sono davvero cresciuti e mi sono reso conto di avere ventun gatti e non diciassette, magari hanno fatto dei cuccioli, alla fine é normale.
Dopo tre mesi...
Adesso è ottobre e i gatti sono quasi trenta e non sapevo da dove sbucassero, ma io li ho accolti.
Dopo 9 mesi ...
Ora è giugno, sono un centinaio e parlano l’Aramaico antico ballando la macarena🎶🎶.
Non ne posso più! Aiuto! Mi stressano! 😸😸😾😾
Alessandro
Tutta colpa del pallone
Era un giorno d’estate e il mio amico, Gianfranco, ormai ex, mi tirò una pallonata in faccia, così, preso dalla rabbia, lo mandai all’inferno.
Il giorno dopo scoprii che casa sua aveva preso fuoco la sera stessa.
Io mi feci sensi di colpa per l'accaduto pensando potessi essere stato in qualche modo io e mi chiedevo costantemente se fosse sopravvissuto qualcuno.
Scoprii che era sopravvissuto il cane e quando la mattina successiva entrai in classe vidi fuori dalla finestra quel cane, che sembrava avere tre teste.
Quando uscii da scuola mi diede una lettera con su sopra disegnato un dito medio…
Da quel momento in poi pensai che quel cane fosse la reincarnazione di Gianfranco.
Karim
Una notizia dolorosa
Marcus, era un ragazzo comune di ventisette anni che viveva da solo in una casa a Milano. Tra le tante passioni che aveva la più’ importante era gareggiare con la macchina. Ormai professionista, iniziò’ a considerare un’idea: dare origine a una accademia per istruire ai principianti, l’arte racing.
Passati sei mesi dedicati totalmente al lavoro per il progetto che voleva realizzare, era in attesa di ricevere l’ultima autorizzazione dal suo capo e i suoi colleghi.
Per alcuni problemi il capo dovette rifiutargliela e con molta rabbia Marcus in quei secondi pensò ai sei mesi di lavoro che aveva sprecato per il suo sogno, e con voce infuriata disse al suo capo e ai suoi colleghi: “Andate tutti all’inferno!” E se ne andò con molto odio sbattendo la porta.
Tornò a casa sua con una sensazione allibita e incredula per la notizia dolorosa che gli aveva dato il capo e rimase per due settimane da solo senza uscire di casa. Riflettendo con calma sull'accaduto decise di andarsi a scusare con il suo capo e i colleghi….
Aprendo la porta della sala conferenze se li ritrovo davanti con gli occhi infuocati e in mano un'ascia, lo presero per il collo e lo portarono via con loro, negli inferi.
Malgrado le ricerche Marcus non fu più ritrovato.
Nicola
La giumenta bardata
Era una fredda serata d’autunno, stavo passeggiando per le strade di Roma, la mente impegnata a ragionare freneticamente: era successo di nuovo, il giorno precedente ero tornato a casa sbronzo perché avevo bevuto troppo, la mia ragazza non me lo ha perdonato, così questa volta mi ha cacciato fuori di casa “Se non riesci a regolarti da solo con le buone, lo farò io con le cattive”. Mi disse.
Mi trovavo al freddo, affamato e stanco, così decisi che avrei mangiato in un locale e poi sarei andato a dormire in stazione. Fu allora che mi accorsi di essermi perso, mi trovavo in una via deserta, cercai il nome della strada per capire in che zona mi trovassi, ma niente, nessun cartello; presi il telefono per controllare il gps: segnale assente. Decisi di proseguire per la via che sembrava non finire mai, probabilmente andai avanti per più di un’ora, finché inaspettatamente girai a destra, accelerai il passo speranzoso, alzai lo sguardo e mi ritrovai davanti a uno strano locale.
Sembrava essere uscito dal medioevo, era costruito in legno e davanti alla porta c’erano tre luci accese, lessi l’indegna “La giumenta bardata” buffo, pensai, sentii delle risate provenire dall’interno e un delizioso odore di arrosto mi convinse ad entrare ad entrare.
L’interno della locanda al contrario di ciò che lasciava presagire: era luminoso, moderno e colmo di gente che mangiava, beveva e giocava a carte.
Le carte: ero bravissimo nel gioco delle carte, riuscivo sempre a vincere una grossa quantità di soldi, ma la mia ragazza mi aveva fatto smettere e ne ero contento, perché nonostante fossi molto bravo (specialmente nel bluff), non era raro che perdessi tutto per una puntata sbagliata. Ciononostante quel giorno mi sentivo particolarmente fortunato, ragion per cui dopo aver mangiato l’arrosto, mi diressi verso il tavolo da gioco, deciso ad almeno triplicare i soldi che avevo.
Quella notte persi tutto: denaro, la mia ragazza e il tempo.
Non uscii più dal Medioevo.
Sahli
Pazzia?
Parto col dire che dopo quello che leggerete mi prenderete per pazza.
Vivevo in una cittadina vicino a San José nel sud America, mi sono trasferita lì dopo la morte di mio padre, perché in città sarebbe stato più semplice per mia madre trovare lavoro. Io ero solo una ragazzina di 15 anni.
Mia madre trovò lavoro come domestica presso una famiglia, ci ospitarono in un piccolo appartamento che veniva usato dal personale di servizio. Pensai subito che Consuelo, la precedente domestica fosse andata in pensione, ma poi scoprì che non era così; la incontrammo solo una volta nell'appartamento perché aveva dimenticato una rivista a cui teneva tanto, o almeno così ci disse lei. Purtroppo dopo qualche settimana venne trovata morta nell'appartamento in cui era andata a vivere...
Quando i signori Diaz mi raccontarono i particolari della vicenda, ci rimasi molto male perché sembrava una storia inventata, quasi surreale. Ma soprattutto perché ero sicura di aver già sentito quella storia da qualche parte. Mi domandai dove potevo averla sentita, così pensai di averla letta in un libro, oppure che mi fosse stata raccontata: vedevo la scena del delitto come se fosse un'opera d'arte; Ma non trovavo nessuna risposta alle mie domande.
Non riuscì a dormire per molte notti, ma la prima volta che riuscì a dormire mi apparve in un sogno la stanza e la domestica prima che morisse. All’inizio pensai che fosse un incubo così non ne parlai mai con nessuno, ma la vicenda non mi dava pace.
Così, decisi di fare delle domande ai signori Diaz, per capire se c'erano informazioni di cui non ero a conoscenza.
Scoprii che la signora aveva problemi di salute e forti dolori alle ossa, e per questo motivo era stata costretta a lasciare il lavoro. I signori Diaz dissero anche che Consuelo con loro era sempre tranquilla mentre si trovava in difficoltà con chi non conosceva: evidentemente era timida.
Dopo qualche tempo anche mia madre sentiva dolori alle ossa, e io avevo problemi a concentrarmi nello studio, i Signori Diaz si dimostrarono pazienti e disponibili ad aiutarci quindi non immaginavo neanche lontanamente quello che stava realmente accadendo.
Una notte feci un sogno molto strano, non riuscivo a muovermi e c'erano i Diaz che ridevano davanti al mio capezzale. Da quel momento iniziai a sentirmi a disagio in loro presenza, la cosa li rese sospettosi, e io cercavo di far finta di niente, ma il disagio che provavo verso di loro non passava: Mi era passato l'appetito, a casa non riuscivo a mangiare e bere, e stranamente questo mi aiutava a sentirmi meglio, mentre i sintomi della mamma si stavano aggravando. Decisi di portarla in ospedale, dopo accurate analisi, i medici scoprirono che era stata avvelenata, raccontai anche dei miei problemi di salute il medico capì subito cosa ci era successo e che la causa di tutto erano proprio i Diaz.
Così la dimisero dall'ospedale e da quel momento non mangiammo più il cibo che compravano i Diaz e ci chiudevamo in stanza la notte; Ma non so il perché una notte sognai Consuelo che mi diceva di fare molta attenzione al cibo che mangiavo e di non fidarmi dei Diaz. Il giorno dopo ero decisa a scoprire il mistero, non andai a scuola e mi nascosi nello studio della casa, dopo poco arrivarono i proprietari che iniziarono a discutere, era arrivato per loro il momento di cambiare cameriera. Dal cassetto della scrivania tolsero un sacchetto con della polvere bianco verde, una specie di muffa che mischiarono allo zucchero, volevano eliminarci…
Stella
Lo sguardo malefico
“Ohi secondo me è così…” dissi alla mia migliore amica facendole vedere una foto, “No guarda che non è così, è così, ho ragione io. PUNTO.” mi disse lei facendo lo stesso. Volevamo avere ragione entrambe. Eravamo a casa sua e dopo le mille volte che aveva detto di aver ragione, cosa non vera secondo me, si mise a cancellare il lavoro che avevamo fatto in gruppo. “Ma va’ all’inferno” le dissi arrabbiata, lei mi urlò contro dicendomi: “Esci fuori da casa mia! SUBITO”.
Io non capendo le chiesi: “Ma stai scherzando spero?” Lei mi rispose mettendo la mia roba fuori dalla porta. Uscita da casa sua chiamai mia madre per farmi venire a prendere, raccontandole quello che era appena successo. Qualche giorno dopo scoprii che la mia migliore amica era caduta in moto con suo padre e che era andata in coma. Quel giorno andai a trovarla in ospedale, entrai in camera e la vidi lí stesa. Ad un certo punto ebbi una specie di visione, vidi lei in un posto strano e infuocato, era molto spaventata, si era pure seduta in un angolino tremando cosa che non era assolutamente da lei: lei era la classica persona che non aveva mai paura di niente. Provai a svegliarla e tirarla fuori da quel posto orribile chiedendole scusa non so quante volte, lo so può sembrare una cosa scontata ma ad un tratto la vidi aprire gli occhi di scatto. Ero felicissima che si fosse svegliata. Mi guardò stranita però io le diedi comunque gran abbraccio. Uscite dall’ospedale pensai: “Finalmente tornerà tutto come prima” o almeno credevo. Ad un certo punto si girò e la guardai negli occhi, aveva uno sguardo malefico, e da lì capii che niente sarebbe mai più tornato come prima.
Matilde
Il QR code
Ormai stavamo litigando da giorni, forse non eravamo più amici o forse era solo una litigata da amici. Non lo sapevo più nemmeno io. Quel che era certo era che non andavamo più d'accordo. Stanco delle continue litigate gli dissi "Vai all'inferno”.
Non lo rividi più per diversi giorni, ad un certo punto pensai di aver esagerato quindi provai a contattarlo tramite WhatsApp e notai che aveva cambiato immagine profilo, dentro c'era: "Solo per te ", scritto in modo pessimo con poi vicino un QR code. La prima volta provai a scannerizzarlo ma non ci riuscii poiché esso era molto sgranato. Ci provai e riprovai data la mia curiosità e finalmente riuscii ad aprirlo. All'interno vidi una figura diabolica che lo stava tenendo tutto insanguinato mentre lui diceva che era stata solo colpa mia.
Diventò il mio peggior incubo.
Francesco
Carmelo amava i gatti ma qualcuno li amava di più
Carmelo amava i gatti le caramelle e i cammelli. Lui aveva un gatto di cui non si ricordava il nome. Un giorno così, normale ma non troppo Gianberto, il vicino, di cui non si ricordava il nome, venne a casa sua. Lui si arrabbiò con Gianberto perché Gianberto aveva due gatti e Carmelo aveva solo un gatto. Imprecando disse: “Vorrei avere cento gatti!” Gianberto lo guardò mangiando il pane come uno scoiattolo. Carmelo andò in cucina per cercare il cibo ma vide cento gatti ma questo egli non lo sapeva perché non sapeva contare, in realtà ce ne sarebbero stati centouno perché c'era anche il suo gatto, di cui non si ricordava il nome, ma non fa niente! Gianberto ne pestò uno e tutti i gatti lo inseguono fino alla porta poi Gianberto uscì dalla casa di Carmelo. Carmelo urlò dallo spavento come una bambina che vede una mosca (non la città di Mosca in Russia) Poi si ricordò che aveva desiderato cento gatti...e capì.
Uno strano giorno non ne trovò uno, anche i giorni a venire si accorse che sparivano... andò a comprare una telecamera per vedere cosa succedeva di notte, vide qualcuno che andava in cucina a prendere un coltello appuntito. Andò in cucina per vedere cosa era successo... Niente, ma trovo il pranzo pronto.
Ogni giorno lui si alzava alle 2 di pomeriggio e andava verso e telecamere per vedere cosa succedeva. Se ne stava lì fermo con la bocca aperta per suspense e vedeva qualcuno che faceva la pasta alla cipolla.
“Buonaaa” Carmelo ha strani gusti, vabbè e va in cucina a guardare e di nuovo e c'era la pasta alle cipolle la sua preferita e si mette a mangiare e smette di cercare i gatti.
Poi sente uno strano rumore venire dalla sua camera va di corsa, come una tartaruga, non offendetevi, mi dispiace per le tartarughe. Poi vede finalmente il misterioso visitatore: il cinesino del ristorante dei cinesi, Carmelo lo insegue e si stanca dopo due metri, anche il cinesino; Carmelo chiede spiegazioni il cinesino risponde: “Taglio gratis pelo gatti”
Carmelo ringraziò il cinesino e Carmelo muore per una malattia strana provocata dalle caramelle senza sapere che i gatti non si trovavano per colpa del ristorante di sushi.
Mahin
Per tutta la vita
Durante il mio addio al nubilato, io e le mie amiche di aperitivo, quelle che definirei “le solite di una vita”, dopo essere tornate a divertirci ricordando i bei tempi: single per una notte, senza quei rompiscatole dei nostri fidanzati ci siamo tuffate nel mare, durante “l’Ora del Diavolo”, una credenza del nostro piccolo paese che narra che alle tre di notte, il diavolo, si aggiri per la città, e a chiunque ostacoli il suo tenebroso cammino, farà esprimere un desiderio, il quale potrebbe diventare il peggior incubo.
Chi è che crede a questo tipo di leggenda?
Non ci crede un ragazzino, figuratevi delle signore in premenopausa con una famiglia a cui badare!
Dopo esserci divertite per la prima volta dopo tanti anni, ci siamo stese sulla sabbia fresca e umida senza pensare a quello che sarebbe successo.
Poi, dopo aver tirato fuori dei vecchi e stupidi ricordi sorseggiando un calice di vino bianco frizzante, ho a malapena pronunciato queste parole: “Vorrei restare qui di fronte al mare, al chiaro di luna, per tutta la vita”.
Sono passati dieci anni e si, sono ancora qui bloccata su questa maledetta spiaggia, invisibile al resto del mondo.
Le mie amiche sono morte quella stupida notte e io, quella stupida notte sono morta dentro, sul serio, la mia anima è all’Inferno.
Giulia
Vorrei restare qui per sempre
Tommy era alla casa delle vacanze, dei nonni, al mare. A lui piaceva tutto, ma più di ogni altra cosa: lo appassionava ammirare il tramonto. Così una sera che nel cielo c'erano il rosa, azzurro e viola disse: “Vorrei restare qui di fronte al mare per sempre”. Il giorno del suo decimo compleanno fece un giro in barca con suo nonno, ma una busca tempesta li colpì. Tommy aprì gli occhi suo nonno non respirava, il veliero era completamente distrutto e su quell'isola grande come uno scoglio non c’era la minima traccia di vita umana.
Così decise di rimanere lì per sempre nel pieno della solitudine di fronte al mare dopo un’ora si rese conto che non sentiva più i piedi, li guardò: “AAAH!”. I suoi piedi erano diventati di metallo, ma non fece niente per muoversi decise di rimanere lì e godersi il suo ultimo tramonto. Oggi Tommy è stato trovato era una statua completamente fatta di metallo rivolta verso il mare con le lacrime che gli rigavano il viso e un sorriso malinconico stampato in faccia.
Cloe
Preistoria
Avevo fatto costruire la mia dimora in un giardino isolato, e avevo posto a dormire i miei domestici in un padiglione in fondo al parco circondato da un alto muro. In quella casa nascosta, sommersa dal fogliame dei grandi alberi, trascorrevo un’esistenza così riposata che la sera rimanevo alzato a lungo per goderne ancora un poco la pace. Quel giorno tornavo a piedi dalla città dove m’ero recato a piedi a teatro. Era buio, ma talmente buio che distinguevo appena la strada. Per la prima volta scorgendo da lontano la massa cupa del mio giardino, sentii sorgere nel mio cuore una inspiegabile ansia. Quando fui più vicino alla dimora, sentii il bisogno di concedermi qualche minuto prima di entrare. Così sedetti su una panca sotto le finestre del mio salotto. Stavo lì, con la testa appoggiata alla parete e gli occhi spalancati nell’ombra, quando avvertii una specie di ronzio, che crebbe fino a diventare un frastuono che proveniva dall'interno della casa. Era un’agitazione come quando si spostano i mobili facendoli strisciare sul pavimento. Perciò mi alzai di scatto dalla panca, ero terrorizzato, ma allo stesso tempo davvero incuriosito di capire da dove scaturisse esattamente quel frastornante e fastidioso rumore, allora mi incamminai quatto quatto verso l'ingresso della mia abitazione, tentati di scorgere qualcosa dalla finestra frontale, però sfortunatamente non vidi niente e il ronzio non si sentiva più; così decisi di aspettare un attimo e mi acquattai sotto il davanzale della finestra. All'improvviso avvertii un altro forte ronzio e aprii la porta: non appena inserii la chiave fui bloccato da una grande forza che spingeva violentemente la porta, affinché io non riuscissi più ad entrare. Allora spaventato, presi la decisione di dormire in giardino sulla mia panca tutta la notte: dormendoci su avrei sicuramente preparato un piano migliore per poter capire cosa stava succedendo dentro la mia dimora. L'indomani, appena sveglio, riuscii subito ad entrare in casa mia, ma purtroppo non aveva neanche la minima parvenza della mia dimora: tutti i mobili in legno massiccio non c'erano più, erano stati sostituiti da tavolette di pietra ammassate l'una sull'altra; al posto del mio comodo letto c'era un ampio ammasso di foglie sul pavimento e in cucina c'erano delle pietre scheggiate vicino a spessi pezzi di carne fresca d'animale, appena frantumati e sanguinolenti. Dall'orrore che stavo osservando e dalla puzza di cadavere stavo quasi per svenire, così mi appoggia un attimo ad una tavoletta di pietra e dopo un po' uscii dalla casa a gambe levate. Dopo aver trascorso tutta la giornata in città ed essermi armato per poter affrontare la spaventosa creatura che si trovava dentro la mia dimora, tornai a casa e mi nascosi dentro la cassapanca di legno rimasta ancora intatta nel sottoscala. A tarda notte sentii delle urla provenire dalla mia camera e di corsa andai a vedere chi ci fosse: era un uomo robusto, mastodontico, con il corpo rivestito di pelli d'animali scuoiati, non parlava, comunicava solo a gesti o con potenti emissioni di suoni vocali, aveva tutte le sembianze di uomo primitivo. Appena mi vide, mi annusò e gridò così forte che mi trapanò quasi un timpano, io allora scappai in cucina e gli diedi una grande bistecca per fargli capire che non volevo fargli del male, ma volevo solo che lui se ne andasse dalla mia abitazione. Lui affamata, l'ha mangiò tutta in un sol boccone e mi portò fuori nel mio giardino, indicandomi una grande navicella che si trovava proprio sul tetto del mio capannone. Io mi domandai che cosa potesse essere quello strano oggetto e ad un certo punto mi venne in mente cosa potesse essere: una macchina del tempo, infatti quell'uomo proveniva proprio da un lontanissimo passato ed era disperato, perché non riusciva a vivere in un’epoca così avanzata. Alla fine riuscii ad attivare quel particolare aggeggio e lo rispedì direttamente nell'era degli uomini primitivi.
Francesco
Viaggio al centro dell'inferno
Era una mattina come le altre, mi sono alzato, ho fatto colazione, mi sono preparato e sono andato a scuola.
Dopo un paio di ore stavo parlando con i miei amici, ad un tratto un ragazzo, in modo scherzoso mi disse di andare all’inferno, io non capivo il perché me lo avesse detto, dopo una mezz’ora iniziò a girarmi talmente tanto la testa che svenni.
Mi risvegliai in un ambiente cupo e macabro, di sottofondo si potevano sentire delle urla di dolore e sofferenza, d’improvviso un signore mi tirò su da terra, gli chiesi dove fossimo, lui mi rispose che eravamo in un luogo di non ritorno, subito un essere gigantesco ci disse di proseguire la strada senza lamentele, poco dopo arrivammo davanti a un trono su cui vi era seduta una figura raccapricciante che si presentò con il nome di “Satana”.
Ci disse che tutto quello che avrebbe detto lui sarebbe dovuto essere ubbidito, lui mi vide e mi fece saltare la fila chilometrica e mi chiese per quale motivo io fossi lì, molto spaventato gli risposi che mi ero svegliato in quel posto senza alcun ricordo di quello che fosse successo prima, lui che pensavo essere senza cuore, mi disse di andare al piano numero nove, disse che lì mi avrebbero spiegato cosa fare. Ma che comunque ero una seccatura.
Arrivato al punto indicato delle figure strane mi chiesero se fossi il ragazzino che si era trovato in quel posto senza motivo, io risposi di sì, evidentemente ero famoso anche all’inferno, mi dissero che per questa volta mi avrebbero fatto tornare a casa, ma se ci fosse stata una prossima volta avrei dovuto lavorare per l’eternità.